Il 10 febbraio 2021 è stato presentato il Report finale sul fenomeno dell’odio online redatto dal gruppo di lavoro, costituito da rappresentanti della Pubblica Amministrazione e da esperti, istituito dalla Ministra per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano. Il tema dell’hate speech, sempre più presente nel dibattito pubblico, è stato analizzato da molteplici punti di vista considerandone la nascita, la fenomenologia e le azioni di contrasto intraprese negli altri Stati europei. Particolare attenzione è stata data alle raccomandazioni sulle possibili azioni da intraprendere per cercare di limitare la diffusione di contenuti incitanti all’odio sulle diverse piattaforme.
Il Gruppo di lavoro sul fenomeno dell’odio online, istituito presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del precedente Governo ha presentato il Report finale della propria attività. Il contributo in commento prende in considerazione, in particolare, le premesse metodologiche; la fenomenologia; gli esempi forniti dalle normative implementate all’interno di vari Stati membri dell’UE, al fine di fornire raccomandazioni riguardo: a. le attività di prevenzione del fenomeno dell’hate speech, b. gli interventi normativi e c. il sostegno alla cd. “infodiversità”.
L’odio, quale sentimento umano, non può essere represso in sé per sé (per una definizione a livello internazionale si veda “Countering Online Hate Speech”, Unesco, 2015). Tuttavia, quando dal desiderio del male altrui si passa all’azione “odiosa”, è doveroso intervenire addebitando le relative responsabilità. La diffusione di internet, con particolare riferimento alle piattaforme social, permette del resto (a tutti) di esprimersi liberamente avendo una platea – ed una visibilità – potenzialmente sterminata. Questa possibilità può, però, essere utilizzata anche per la diffusione di manifestazioni di odio. Proprio in relazione a tali manifestazioni negative il Gruppo di lavoro ha elaborato diverse proposte. Con riferimento alla definizione di odio è stato osservato che «non esiste una definizione universalmente accettata del termine “hate speech” », tuttavia, pur essendo riconducibile ad esperienze soggettive non standardizzabili, si ritiene opportuno intervenire laddove si manifestino forme di profonda intolleranza e pregiudizio, che può giungere sino alla negazione dell’umanità altrui (cd “dehumanization”).
La fenomenologia dell’odio online non dipende tanto dal messaggio in sé, quanto dalla modalità della trasmissione. In particolare possono ravvisarsi tre modalità principali: la prima è quella che vede la distribuzione di discorsi d’odio che sfidano tabù e convenzioni del “politcally correct”, in contrasto con i media generalisti; la seconda è quella che determina la trasformazione dell’odio online in un vero e proprio vortice tale da trasferire offline un generale sentimento di intolleranza; la terza è quella che determina i media tradizionali a funzionare da cassa di risonanza dei contenuti di odio online (e viceversa). L’odio online si presenta come un terreno ripido e scivoloso dove diritto all’informazione, libertà d’espressione (costituzionalmente tutelata) e rischio di censura devono necessariamente trovare un corretto bilanciamento (in merito a questo tema si veda in questo Osservatorio, qui).
In ambito Europeo la Germania e la Francia (in particolare sul caso francese già su questo Osservatorio, qui) sono già intervenute con una specifica normativa finalizzata soprattutto ad imporre una maggiore collaborazione da parte dei grandi social network mentre, in altri Paesi europei, sono in corso studi ed iniziative in tale direzione. Suddette previsioni sono peraltro destinate a trovare un coordinamento in quanto il 15 dicembre 2020 è stata resa pubblica dalla Commissione la Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sul mercato unico dei servizi digitali che ha come obiettivo quello di “stabilire regole uniformi per un ambiente online sicuro, certo e affidabile, dove i diritti fondamentali sanciti dalla Carta siano effettivamente protetti”[DigitalServiceAct -DSA -Proposta COM (2020) 825 2020/0361 (COD)].
Tenendo in considerazione gli elementi suesposti, il Gruppo di lavoro immagina una strategia articolata su tre livelli: attività di prevenzione con obiettivi a lungo termine, innovazione normativa coerente con le sfide della digitalizzazione e il sostegno ad iniziative che progettino e sperimentino nuovi ambienti mediatici in modo da favorire l’infodiversità in un sistema digitale improntato al rispetto (su cui si veda anche “Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio”). L’attività di prevenzione più efficace è quella che punta ad incidere sulla cultura, sulla formazione, sull’informazione e sulla comunicazione. Le raccomandazioni interessano peraltro diversi soggetti. In primis, per quanto riguarda le scuole, si propone: il coinvolgimento di competenti figure che individuino best practices da pre-selezionare e rendere disponibili a tutti i soggetti coinvolti, una rivisitazione dei Regolamenti di Disciplina con la previsione di percorsi educativi “riabilitativi” ed il coinvolgimento di diversi contesti educativi in una eventuale campagna di prevenzione. Per quanto concerne i media in senso stretto la proposta del Gruppo di lavoro si incentra prevalentemente su di una serie di iniziative finalizzate a sensibilizzare sul tema dell’hate speech.
L’intervento normativo esclusivamente repressivo appare, dunque, quantomeno rischioso. Dovrebbe mirarsi, al contrario, verso una serie di strategie rieducative: in relazione agli eventuali procedimenti penali legati all’odio online si ipotizzano percorsi di recupero, estinzione dei reati per condotte riparatorie e/o tramite uno specifico percorso rieducativo. Per ciò che concerne le piattaforme dovrebbero invece concordarsi regole chiare e precise che consentano procedure trasparenti e controllabili in merito ai contenuti che diffondono odio. Infine, per ciò che concerne l’infodiversità, viene proposta l’implementazione di una strategia di lungo termine. Si vorrebbe favorire la diversità di modelli di business nei social media: favorendo la creazione di nuove piattaforme, progettate in base a logiche più consapevoli dei diritti umani che possano finanziarsi tramite crowdfunding (e simili); fermo restando il favorirsi di un contesto normativo maggiormente regolato dall’Autorità antitrust, tramite deconcentrazione del possesso dei dati e sostegno all’interoperabilità a tutti i livelli, nel quadro di una forte e netta neutralità della rete.
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