Il proliferare di fake news o deep fake videos è un fenomeno ormai noto, così come sono conosciuti gli effetti disastrosi che la loro condivisione e divulgazione pubblica, soprattutto tramite i social network, crea sulla società civile di un Paese, agendo in maniera distorsiva sull’opinione pubblica, in qualsiasi ambito, fino a minare la tenuta stessa della democrazia di uno Stato.
La diffusione di menzogne, deleterie per il dibattito pubblico e distorsive ai danni, in particolare, della politica, ma anche per l’economia e la società (se ne è parlato qui “Il ruolo dei Deepfake news sui sistemi democratici, in particolare sulle elezioni politiche” su questo Osservatorio) nutre pericolosamente campagne di disinformazione e di violenza, fino a diventare una concreta minaccia per la tenuta stessa della democrazia di uno Stato, dell’ordine e della sicurezza pubblica e privata di un Paese.
Il potenziale devastante di tale fenomeno ha dato una triste prova di sé, da ultimo, nei recentissimi e noti fatti accaduti a Washington, dove una parte dei sostenitori del presidente USA uscente Donald Trump ha preso letteralmente d ’assalto il Congresso americano per per impedire la certificazione, in corso al momento dei fatti, dell’elezione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti.
Attraverso la propria campagna mediatica, avviata nell’ambito delle elezioni presidenziali statunitensi del 2020 ed incentrata su una massiccia diffusione in internet e sui social network (come Facebook, Twitter, Instagram, e altri) di false informazioni, da ultimo, riguardanti la vittoria del presidente eletto Joe Biden, Trump – contro ogni evidenza fattuale e giuridica -, continua a ribadire la propria personalissima realtà ufficiale: “Elezioni rubate”.
Di fatto, si è così creata una grande frattura nella rappresentazione della realtà che non ha trovato rimedio neppure a seguito dell’intervento dei grandi colossi che, considerato pericoloso quel tipo di contenuti, ha deciso di rimuovere o almeno limitare la diffusione dei post falsi.
Ad esempio, Facebook ha cercato di rallentare la diffusione delle deepfake news etichettando le false affermazioni e indirizzando le persone a informazioni fattuali corrette e verificate, ma tali azioni si sono rivelate insufficienti a ridurre la disinformazione e il cospirazionismo sui social.
La ri-condivisione dei falsi post, seppure segnalati con etichette informative, è stata, infatti, ridotta di appena l’8%.
Così, oggi, a seguito dei gravi fatti accaduti al Congresso USA, i grandi colossi del web hanno avviato una policy di rimozione di contenuti di incoraggiamento a questo tipo di protesta che si risolve in un’incitazione alla violenza e all’odio, fino a considerare il fenomeno della divulgazione delle deepfake news vera e propria attività criminale da censurare, anche attraverso la cancellazione definitiva dei profili social di Trump.
Quanto avvenuto impone, anzitutto, alcune importanti riflessioni sul tema della differenza di tutela della democrazia nei vari Paesi ma anche in ordine alle politiche dei singoli Stati nella regolazione pubblica, specie sul web, che mostrano una certa inefficacia contro tale pericoloso fenomeno.
Il controllo e la verifica delle informazioni e dei dati diffusi in internet è ormai un’esigenza di tutela di ordine pubblico e di tutela di interessi preminenti, pubblici e privati, che tuttavia, ancora oggi, appare eccessivamente legata ad una concezione individualista, ovvero rimessa unicamente alle piattaforme digitali, secondo i loro standard contrattuali (se ne è parlato qui “Negazionismi, censure e social networks” sempre su questo Osservatorio) che, tuttavia, appare quanto mai debole e inefficace ad arginare la diffusione ed il “contagio” virale da notizie false.
Del resto, simili iniziative non sono nuove: si pensi, infatti, alla scelta di Facebook di censurare i post che negano l’Olocausto, mutando radicalmente la policy dell’azienda in materia (se ne è parlato qui “Facebook oscura le pagine di Casa Pound e Forza Nuova”, su questo Osservatorio). Se tale operazione risulta da un lato necessaria per evitare la circolazione di fake news, dall’altro potrebbe molto spesso condurre ad una limitazione del diritto di informazione (se ne è parlato qui “Facebook e Twitter contro le fake news” su questo Osservatorio).
Si rende, quindi, inevitabilmente necessario stabilire a chi spetti la gestione, la regolamentazione pubblica e la verifica della correttezza dei dati, ovvero della idoneità, razionalità, imparzialità, proporzionalità e adeguatezza dei relativi strumenti correttivi e di bilanciamento.
Se l’operazione di limitazione della diffusione risulta da un lato necessaria per evitare la circolazione di fake news e/o videos, dall’altro potrebbe molto spesso condurre ad una limitazione del diritto di informazione ovvero ad una vera e propria censura.
In tale contesto si pone, quindi, un problema di applicazione del principio di legalità, ovvero di legittimazione e di competenza in ordine all’esercizio di un simile potere di controllo e di condanna della pubblicazione e della diffusione di erronee informazioni: è giusto demandare ad enti privati il potere di valutare i contenuti diffusi via internet ovvero di impedirne la loro ampia diffusione? (se ne è parlato qui “Facebook oscura le pagine di Casa Pound e Forza Nuova”, su questo Osservatorio), stabilendo peraltro chi sanzionare e chi lasciare impunito?
Ad oggi, tale forma di intervento privato non sembra bastare, essendo peraltro essenziale che le misure di gestione eventualmente adottate siano trasparenti, non discriminatorie e proporzionate e, soprattutto, non si basino su considerazioni di ordine commerciale.
In primo luogo, occorre, quindi, un intervento legislativo che definisca la nozione di fakenews o fake videos e, altresì, le ipotesi in cui si configura il reato di pubblicazione, diffusione e di condivisione di notizie false in internet, ovvero la relativa sanzione.
In secondo luogo, come implementazione di tale regolazione, si potrebbe pensare ad una forma di intervento pubblico dello Stato per la gestione integrata con i privati (colossi di internet) delle tematiche di pubblico interesse, nell’ambito dell’uso sistematico di internet e dei social network.
Inoltre, affinché i governi dei singoli Stati possano individuare soluzioni condivise per problemi collettivi come quello in questione è possibile sfruttare le competenze e le idee dei cittadini stessi e, dunque, ripensare approcci e strumenti della partecipazione.
Per una riflessione sul cambiamento degli approcci dei regolatori pubblici con le nuove tecnologie, si rinvia al seguente articolo su questo Osservatorio: “Sette indicazioni per il futuro della regolazione”).
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