Le inutili, grottesche complicazioni burocratiche

La sferzante critica di Meuccio Ruini (futuro presidente alla Costituente della Commissione dei 75 e allora – 1909 – alto dirigente dei Lavori pubblici) contro quello che chiama «il tecnicismo burocratico», l’arte dell’amministrazione di complicare le cose più semplici.

 

Ogni lettera, nota o provvedimento che esca dal Ministero, deve essere formulato in modo da riassumere in sé tutti i precedenti; deve fare la storia di tutto l’affare; deve cominciare (…) dal giudizio universale; deve essere concepita in modo che, se per caso venisse arso o sparisse tutto il fascicolo, si possa in ogni modo, dalla pagina sopravvissuta, ricostruire tutti gli elementi perduti. Quest’ultimo concetto mi è stato insegnato, ad litteram, da un gros-bonnet, che mi volle instradare nei segreti burocratici più profondi.

Si arriva così alla più tronfia e inutile complicazione. Bisogna fare relazioni lunghe lunghe su ogni questione. Un Ufficio ricopia quelle precedenti dell’altro, variando qua e là le parole. Ogni volta che si va a sentire il parere di uno dei numerosi corpi consultivi, per la cui trafila devon passare anche i provvedimenti più insignificanti, bisogna fare una relazione da capo.

È la smania grottesca del far figura. Il valore degli atti si misura dalla lunghezza. Proprio il contrario di quel che avviene nel mondo commerciale e industriale, dove bastano due righe: va bene, o va male, o badate a questo, per rispondere alle lettere più importanti. Il burocratico si vergognerebbe di preparare una nota che dice «grazie, sta bene». Bisogna, per lo meno, riassumere la nota che si riceve e alla quale si risponde, e bisogna arrotondare, con le veneri dello stile burocratico, la sostanziale semplicità della risposta.

 

Chantecler (Meuccio Ruini), Nel mondo burocratico: le riforme che si possono far subito, in «Critica Sociale», XIX, n. 13, 1° luglio 1909, p. 196.