Vincenzo Giuffrida (Catania, 1878-Roma, 1940) fu, trentenne, uno dei più brillanti collaboratori di Nitti ministro di Agricoltura, industria e commercio agli inizi del ‘900. Tra l’altro partecipò, con Alberto Beneduce e altri, alla ideazione e alla costituzione dell’Ina nel 1912). Funzionario e poi dirigente di grande capacità, sostenne sempre una sua personale battaglia contro gli «eccessi burocratici» e per la radicale riforma dell’amministrazione pubblica in senso – come allora si diceva – «industriale» (cioè sul modello delle grandi organizzazioni dell’impresa privata). Si occupò anche di previdenza (nel 1912 fu nominato direttore generale del credito e previdenza) e molto di emigrazione (settore dal quale nel 1902 era iniziata la sua carriera). Nel periodo della Grande Guerra fu alla testa di alcune delle nuove amministrazioni al servizio della mobilitazione bellica. Divenne deputato e fu ministro delle Poste. Celebre il suo duello a distanza con Luigi Einaudi severissimo critico delle «amministrazioni di guerra», che Giuffrida condusse in nome di una concezione nuova, quasi keynesiana di uno Stato non più assente dall’economia. Fu infine, durante il periodo fascista, consigliere di Stato.
In questo intervento alla Camera del 1921 si ritroveranno alcune delle sue idee sulla riforma amministrativa.
Quindi, come tutti noi sappiamo, il funzionamento dell’Amministrazione è lento, incerto, pigro, qualche volta è lento fino ad essere esasperante. Il rendimento di lavoro degli impiegati è scarso. Mentre tutte le aziende sono ordinate secondo la legge del minimo mezzo, l’Amministrazione dello Stato pare che invece sia ordinata secondo la legge del massimo mezzo. E poi vi sono abitudini viziose che non si sradicano: i bollettini che si moltiplicano; il carteggio da direzione generale a direzione generale, da divisione a divisione, oserei dire da tavolo a tavolo della stessa stanza (perché ogni tavolo si asside di fronte all’altri come una potenza amica o nemica); i visti infiniti sulle minute degli atti e sui documenti; le funzioni inutili; l’ordinamenti delle copie; la conservazione e classificazione degli atti; l’accentramenti della firma di pochissimi funzionari; e soprattutto un equivoco, o una finzione, sulla potestà ministeriale, e cioè che il ministro sia l’unico amministratore di bilanci di centinaia di milioni ed egli solo possa disporre la spesa anche di una lira.
Vincenzo Giuffrida, La riforma della burocrazia, discorso alla Camera dei deputati, 25 febbraio 1921, poi in Problemi di ieri e di oggi, prefazione di Francesco Saverio Nitti, Roma, Edizioni La Bussola, 1945, pp. 141-142.