Anche il nostro sistema politico- amministrativo, messo sotto stress, ha la febbre.
L’allarme non scatta quando aumenta il numero dei contagiati, ma quando stanno per esaurirsi i posti di terapia intensiva.
Se il primo non è elemento prevedibile, al secondo si poteva provvedere per tempo.
Siamo quindi continuamente colti di sorpresa, perché non abbiamo i sistemi giusti di allarme e non sappiamo programmare e progettare, ma solo discutere e negoziare per sopravvivere. Ci compiacciamo tutti d’aver messo in sicurezza, grazie allo «smart working», dipendenti pubblici e privati di grandi servizi, senza capire che, risolto un problema, ne abbiamo creati due.
Se il custode del museo sceglie il telelavoro, il museo chiude e gli utenti rimangono senza un servizio. Se la massa degli impiegati pubblici e privati non va più nei posti di lavoro, intorno ai quali con il tempo sono cresciuti servizi (tavole calde, cartolerie, ristoranti, palestre, negozi di abbigliamento), bisognerà darsi carico di una enorme diversa dislocazione di attività, interessi, sedi. E rimane la domanda: perché i ragazzi a scuola e i genitori a casa? Questa la seconda debolezza del nostro sistema: l’incapacità di cogliere per tempo i problemi sociali che forme nuove di lavoro possono produrre.
Continua a leggere l’editoriale di Sabino Cassese pubblicato sul Corriere della Sera del 22 ottobre.