Quali trasformazioni interessano maggiormente la partecipazione nell’era digitale? I poteri pubblici sapranno gestire cittadini potenzialmente più informati e attivi, ma anche più volubili verso temi politici? Un rapporto del centro studi del Parlamento europeo guarda alla ‘pratica’ della democrazia in Europa e nel mondo, evidenziandone debolezze e punti di forza. Le tre direttrici che guidano l’evoluzione della partecipazione riguardano, rispettivamente, la commistione tra attori privati e pubblici, il ruolo cruciale della sperimentazione e la politicizzazione delle consultazioni pubbliche. In tutte e tre i casi, la tecnologia riveste un ruolo importante. Per i regolatori pubblici, saper guidare i processi di innovazione tecnologica diviene fondamentale per sviluppare processi decisionali inclusivi.
L’ultimo rapporto pubblicato dal centro studi del Parlamento europeo affronta un tema attuale: le trasformazioni in corso dei processi democratici, in particolare della partecipazione civica. Il rapporto propone una riflessione iniziale sulle condizioni che influenzano la qualità e il numero delle interazioni tra governi e cittadini. Paradossalmente, spiega il rapporto, cittadini potenzialmente più informati e attivi, sono anche più volubili – esprimono cioè un interesse a partecipare alle decisioni pubbliche meno duraturo. Ne è esempio l’affiliazione politica. Basata un tempo su un sistema di valori di cui era espressione il partito, oggi l’affiliazione politica si focalizza sui singoli rappresentanti politici o sui leader carismatici. Le fortune politiche di costoro sono, inevitabilmente, a tempo determinato.
Quale ruolo spetta alla tecnologia all’interno di questi processi trasformativi? In prima battuta, l’innovazione tecnologica svolge una funzione accelerativa rispetto agli stessi. Molte delle mutazioni che interessano la partecipazione democratica si possono spiegare osservando la diffusione di tecnologie che generano cambiamenti importanti nei comportamenti individuali e collettivi. Si pensi, ad esempio, alla funzione suppletiva che i social network svolgono rispetto alle fonti di informazione tradizionali. Per un verso, facilitano la rapida diffusione delle informazioni, generando quindi interesse nell’opinione pubblica. Per altro verso, offrendo informazioni senza la mediazione dei professionisti della comunicazione, i social network contribuiscono spesso alla disinformazione.
Più importante – e, per noi, interessante – è il ruolo della tecnologia nel contesto delle tre direttrici che, secondo il rapporto, guidano il futuro delle pratiche democratiche. La prima direttrice riguarda la commistione tra privato e pubblico. Il rapporto parla di ibridizzazione tra componenti pubbliche dei processi consultivi e soggetti privati, chiamati spesso a gestire questi processi. Qualcuno, al riguardo, parla di democratic tech. Due casi interessanti (di entrambi si fa menzione nel rapporto): il primo riguarda le consultazioni pubbliche gestite da Liegi, in Belgio. Reinventons Liege è stata gestita interamente da CitizenLab – piccola startup che ha brevettato una piattaforma online pensata espressamente per organizzare consultazioni pubbliche a vari livelli di amministrazione. A Taiwan, invece, la piattaforma online cittadina che dà voce agli abitanti dell’isola, consentendo loro di proporre e votare idee funzionali all’amministrazione locale, incorpora numerosi servizi di operatori privati. Youtube e Slido, ad esempio. Ma anche Pol.is, una startup di diritto statunitense che cura la gestione dei processi partecipativi sulla piattaforma.
La seconda direttrice individuata nel rapporto riguarda la sperimentazione e design dei processi partecipativi. È fondamentale oggi non solo garantire agli utenti la possibilità di interagire con le amministrazioni, ma farlo secondo i tempi e le modalità più appropriate. Ciò ovviamente vale tanto nel caso in cui si tratti di processi partecipativi analogici che digitali. Il rapporto cita molti esempi interessanti, guardando alle particolarità di ciascuno dal punto di vista strutturale e organizzativo. Un caso particolarmente interessante è quello della città di New York che, sotto l’amministrazione De Blasio, ha promosso un programma di azioni relative all’intero tessuto urbano. Per coinvolgere il maggior numero di cittadini l’amministrazione fa uso di competizioni a premi, offerti a coloro i quali contribuiscono con idee o progetti validi. Per la buona riuscita dell’iniziativa è stato fondamentale ideare e testare la piattaforma digitale che ospita le interazioni tra cittadini e amministrazione.
Infine, il rapporto indica nella politicizzazione dei processi partecipativi una terza direttrice importante per comprendere il futuro della democrazia. È un tema complesso che in parte esula dal nostro campo di interesse. Anche qui però la tecnologia riveste un ruolo importante, che può essere sintetizzato così: nel momento in cui un governo, avvalendosi di tecnologie digitali, è in grado di mobilitare un numero consistente di cittadini sollecitandoli a offrire un’idea o un parere su temi di ampia portata (l’ambiente, la sicurezza, la salute pubblica), a quali conseguenze va incontro nel momento in cui è chiamato a dare conto degli esiti delle consultazioni? Se, in altre parole, la tecnologia rende possibile ciò che fino a pochi anni fa era molto difficile: un coinvolgimento diretto di ampie fasce di popolazione, a quale costo offre questo risultato? Il rapporto è esplicito nell’ammonire i regolatori pubblici nell’uso di tecnologie digitali per scopi puramente politici. Incassato il consenso politico, l’amministratore pubblico è chiamato a rendere conto delle decisioni prese, rischiando l’effetto contrario rispetto a quanto auspicato. Si pensi, tra i casi più recenti, al Gran Debat National francese e alla European Citizen Initiative dell’Unione europea.
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