Le crisi del modello Stato e dello Stato democratico, di cui oggi percepiamo alcuni effetti – altri, invece, ci sfuggono – sono al tempo stesso causa e conseguenza di fenomeni concorrenti, e sovrapposti. Lorenzo Casini, nel suo ultimo libro, ne individua due: globalizzazione e progresso tecnologico. Lo Stato nell’era di Google descritto da Casini è uno Stato chiamato a fare i conti con debolezze inedite fino a un passato recente. Per questo motivo, non è tanto uno Stato in crisi, quanto in trasformazione. Lo Stato, spiega l’autore, rimane la comunità politica per eccellenza. Le dinamiche che ne definiscono il funzionamento, in particolare la capacità di rendere le comunità partecipi delle decisioni, richiedono un ripensamento profondo.
Non esiste una crisi generalizzata dello Stato, né è del tutto corretto sostenere che il modello democratico di Stato viva oggi una fase recessiva, come pure sostengono in molti tra accademici, attivisti e politici che partecipano all’intenso dibattito sul tema. Le crisi di cui oggi percepiamo alcuni effetti – altri, invece, ci sfuggono – sono al tempo stesso causa e conseguenza di fenomeni concorrenti, e sovrapposti. Tra questi, due in particolare: globalizzazione e avanzamento tecnologico.
Propongo di partire da questo punto per comprendere il pensiero di Lorenzo Casini – autore prolifico, ed eclettico, che nel suo ultimo libro unisce i tasselli di un mosaico complesso, parlando a un pubblico vasto, che raggiunge con uno stile chiaro e accessibile, senza rinunciare al metodo rigoroso dello studioso. Dunque, globalizzazione e tecnologie. Iniziamo dalle seconde. Da giuspublicista, Casini interpreta il rapido avanzamento della tecnologia come fattore destabilizzante rispetto ai tre elementi costitutivi dello Stato: il popolo, il territorio e la sovranità. È (anche) a causa dell’avanzamento tecnologico, spiega l’autore, che concetti tradizionali come ‘frontiera’ e ‘territorio’ non riescono più a catturare nella loro totalità le espressioni del potere pubblico. Così anche per l’opinione pubblica. Grazie alla rete, caduti gli ostacoli materiali alla creazione di nuovi legami umani, comunità ampie convergono rapidamente intorno a temi di interesse comune. L’opinione collettiva, grazie a Internet, acquisisce, processa (produce, a volte) informazioni a una velocità fino a ieri impensabile. È però anche un’opinione pubblica meno coesa, mobile.
Per queste ragioni, spiega Casini, lo Stato nell’era di Google è uno Stato chiamato a fare i conti con debolezze nuove, inedite fino a un passato recente. Debolezze che, peraltro, sono incentivate dall’altro fenomeno cui guarda l’autore per spiegare la crisi, vera o presunta, del modello-Stato: la globalizzazione delle regole e dei mercati. Da una parte, il processo di globalizzazione del diritto erode la sovranità statale, costringendo i governi nazionali a cedere porzioni di potere decisionali ad altri organismi, extra-territoriali, come nel caso dell’Unione europea. La globalizzazione dei mercati, poi, contribuisce all’ascesa di nuovi attori che contendono allo Stato la primazia nella produzione di regole. Le grandi multinazionali della tecnologia, soggetti mastodontici, oppongono resistenza all’applicazione di regole pubbliche che ne disciplinino l’operato; si sostituiscono addirittura allo Stato – emettendo moneta virtuale, ad esempio.
Attenzione però. L’innovazione tecnologica, unitamente ai processi di globalizzazione, non indebolisce necessariamente lo Stato – lo trasforma, semmai. Lo Stato, continua Casini, rimane la comunità politica per eccellenza. È ancora oggi l’obiettivo più ambito da un popolo che intenda esercitare la propria sovranità su un territorio. Non lo Stato, quindi, ma lo Stato democratico affronta un periodo critico, che ne impone il ripensamento. L’autore resiste alla tentazione di dare ricette o proporre soluzioni. Si limita a chiarire alcuni punti cruciali. Primo, la democrazia diretta – che deve la sua fortuna proprio al progresso tecnologico, che l’ha resa possibile – non può contrapporsi alla democrazia rappresentativa; può, semmai, integrarla, e completarla. Secondo, sempre a proposito di tecnologia: se oggi è questa la causa principale della crisi dello Stato democratico, può essere anche lo strumento per un ripensamento profondo delle dinamiche che alimentano i processi partecipativi. Uno Stato democratico funzionale è necessariamente uno Stato che controlla il progresso tecnologico, e nel tentare di amministrarlo ne fa uso, al fine di produrre decisioni più inclusive, tempestive ed efficaci. Terzo, per comprendere e controllare gli sviluppi delle tecnologie, bisogna capirne gli effetti collaterali. Uno tra questi è particolarmente interessante: il modo in cui cambia il linguaggio, che diviene più rapido, immediato, ma anche meno complesso, riducendo – o eliminando – i livelli di lettura dei testi. Rinunciare alla complessità del linguaggio, ammonisce l’autore, rischia di incentivare regimi autoritari e anti-democratici.
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