Il libro di M. Bentivogli, Contrordine compagni. Manuale di resistenza alla tecnofobia per la riscossa del lavoro e dell’Italia, Milano, Rizzoli, 2019, si pone l’ambizioso obiettivo di diffondere una maggiore consapevolezza sulla quarta rivoluzione industriale e sulle tecnologie che la rendono possibile, al fine di vincere la tecnofobia così diffusa nel nostro Paese.
Marco Bentivogli (classe 1970) è un sindacalista italiano che ricopre dal 2014 la carica di segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici (FIM CISL). In questo libro, dopo aver passato in rassegna e descritto sinteticamente le grandi tendenze dell’innovazione, quelle in atto e quelle in divenire (es.: impresa 4.0, intelligenza artificiale, blockchain, 5G), l’Autore cerca di trasmettere al lettore la consapevolezza di come quella che viene comunemente chiamata Industria 4.0 non sia una opzione tra le tante, bensì una strada obbligata, e di come sia una assoluta priorità il superamento della tecnofobia così diffusa nel nostro Paese (sul ritardo italiano nel processo di digitalizzazione rispetto agli altri Stati membri dell’Unione europea, si veda B. Carotti, Le confessioni dell’indice DESI).
L’utilizzo integrato di tecnologie abilitanti determina l’affermazione di nuovi modelli di organizzazione del lavoro. L’affermazione e la diffusione di questi modelli dipende strettamente dalla sostenibilità che generano e dalla loro convenienze sul piano economico. Allo stesso tempo l’impatto della evoluzione tecnologica ha una traiettoria di sviluppo che ha notevoli margini di adattabilità. Il settore industriale è ormai da decenni esposto alla competizione internazionale e la strada dell’innovazione si presenta come una strada obbligata per restare in piedi sulla scena mondiale. È necessario allora concentrare gli sforzi di riflessione su come le innovazione possano al meglio calzare nel tessuto economico e industriale di ogni singola realtà nazionale e, per fare ciò, è necessaria una buona dose di visione.
Con riguardo alla realtà italiana, riprendendo e in parte rielaborando le idee espresse da Roland Berger in Digital Factories (2016), l’Autore ritiene sia necessario creare un «ecosistema 4.0», ovvero un ambiente nel quale tutti i soggetti coinvolti (pubblici e privati) agiscano assumendosi la responsabilità delle proprie azioni e siano guidate da una stella polare ben precisa: l’integrazione. L’auspicio di fondo è infatti la selezione di una classe dirigente più illuminata e lungimirante che sia capace di rilanciare la politica industriale e allo stesso tempo di coordinare questa con efficaci misure sociali e formative.
Il rilancio del motore industriale dell’Italia non passa attraverso la sola innovazione dei processi produttivi e, in definitiva, attraverso la sola tecnologia che, pur indefettibile, non è sufficiente. Perché uno stabilimento industriale possa funzionare al meglio delle sue potenzialità, è necessario che esso abbia intorno un «ecosistema 4.0», il che vuol dire: mobilità, rigenerazione urbana e interconnessione fra settore industriale, da un lato, e il territorio, il mondo della ricerca, le università, le scuole e la pubblica amministrazione, dall’altro.
La sfida non è facile, ma deve essere accettata e può essere vinta. Secondo l’Autore, perché ciò accada, sono necessari due elementi. Anzitutto, occorre smettere di offrire fatalismo e ineluttabilità del destino e restituire alle persone l’idea fondamentale per cui il futuro è in larga parte conseguenza di ciò che facciamo e che costruiamo oggi. In secondo luogo, bisogna riscoprire lo spirito di un nuovo protagonismo, ritrovando l’iniziativa e ripartendo dalla progettazione sociale, economica, industriale e civica. Assolutamente da evitare, secondo l’Autore, sono invece le facili ricette offerte dai populismi (attacco nei confronti dell’avversario politico, dello straniero in patria, dell’Unione europea, su cui si veda V. Bontempi, recensione a Dal Lago A., Populismo digitale: la crisi, la rete e la nuova Destra, Milano, Raffaello Cortina, 2017) che cavalcano le paure e le preoccupazioni senza indicare strade percorribili.
Secondo Bentivogli, anche i sindacati possono contribuire ad arginare i populismi, i quali tutti si caratterizzano per la tendenza alla disintermediazione. Il compito di dare forma e contenuto ai problemi delle persone deve invece tornare ad essere proprio dei corpi intermedi non reazionari, quali appunto i sindacati. Proprio il ruolo di questi ultimi, nell’ambito del processo di transizione digitale, viene esaltato in più punti del libro. L’Autore sostiene con forza che l’azione sindacale non debba ignorare – o peggio impedire – lo sviluppo tecnologico, rimanendo impantanata in un dibattito senza vie di uscite sulle tecnologie che «rubano» posti di lavoro.
Un sindacato moderno e lungimirante deve saper cogliere in anticipo l’evoluzione della figura del lavoratore, che non è più il segmento di una catena meccanica di montaggio, bensì un «operaio-informatico», cui sono chieste (e sempre più lo saranno in futuro) competenze relative all’Intelligenza Artificiale. L’azione sindacale deve dunque spingere verso investimenti massicci in politiche attive che formino adeguatamente le nuove generazioni e che abbiamo come stella polare il concetto di «adattabilità» (da non confondere con quello di «precarietà»): la filiera delle competenze si amplia e deve sapersi evolvere alla stessa velocità di sviluppo delle tecnologie.
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