Recensione a Mari G., Libertà nel lavoro. La sfida della rivoluzione digitale, Bologna, il Mulino, 2019, libro che si pone come contributo alla costruzione di una nuova idea di lavoro a seguito della rivoluzione digitale.
In questo volume Giovanni Mari, docente di storia della filosofia presso l’Università di Firenze, si pone l’ambizioso obiettivo di dare un senso nell’era digitale alla attività che impegna la maggior parte del tempo della vita di ciascuno: il lavoro.
Il punto di partenza della riflessione è la crisi dell’idea su cui la cultura di sinistra del Novecento ha costruito il senso della propria epoca, ovvero l’azione volta all’emancipazione del lavoro, alla difesa della democrazia e allo sviluppo del welfare. Di qui la necessità, non solo per la cultura di sinistra, di vedere le cose in modo radicalmente diverso.
Tramontata l’idea novecentesca del lavoro fordista, il lavoro si è liberato dalla forma per così dire scientifica della sua subordinazione. Allo stesso tempo si è ritrovato però privato di una idea culturale di se stesso. A partire dal toyotismo di metà Novecento fino all’attuale rivoluzione digitale non è emersa infatti una idea del lavoro capace di sostituirsi a quella fordista che, offrendo sicurezza in cambio di ubbidienza, ha consentito nelle società occidentali di creare maggiore ricchezza e di ridurre le disuguaglianze.
Il libro di Mari parte da queste premesse per offrire un contributo alla costruzione di una nuova idea di lavoro nella attuale era digitale. Il ragionamento del filosofo prende le mosse da una idea del lavoro come «atto linguistico performativo». Questa moderna concezione del lavoro è costruita sulla base delle attività che si svolgono nella smart factory e quindi delle attività che più caratterizzano il tempo dell’economia digitalizzata.
L’analisi ruota poi attorno al concetto di autorealizzazione della persona nel lavoro. La tesi dell’Autore è che il lavoratore oggi realizza se stesso non più solo quando lavora, in nome del diritto a un lavoro quale che sia, ma quando sceglie il proprio lavoro, in nome del diritto all’autorealizzazione nel lavoro.
Il libro è suddiviso in cinque capitoli. Il primo è dedicato al lavoro come atto linguistico «performativo». Il secondo capitolo fissa i punti cardinali per una etica autonoma del lavoro. Il terzo capitolo delinea i tratti caratteristici dell’autorealizzazione della persona nel lavoro 4.0. Il quarto capitolo evidenzia come il lavoro 4.0 ponga in termini nuovi la questione dell’otium. L’ultimo capitolo si concentra infine sull’oggetto del conflitto culturale nella società della rivoluzione digitale e del lavoro 4.0: la formazione.
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