Con la sentenza 1 ottobre 2019, n. 1521, la Sezione I del Tar Puglia ha rilevato la fondatezza dell’azione avverso il silenzio inadempimento anche in mancanza di un obbligo di provvedere espressamente previsto dalla legge. In particolare, i giudici di prime cure hanno accolto il ricorso avverso il silenzio serbato dall’amministrazione su un’istanza per l’approvazione ai sensi dell’art. 8, D.P.R. n. 160/2010, di un progetto volto alla realizzazione di un edificio con strutture prefabbricate da adibire all’assemblaggio finale di componenti specifiche su autoveicoli prima della consegna finale alle concessionarie.
Come noto, l’amministrazione è tenuta ad esprimersi sulle istanze dei privati tramite l’adozione di un provvedimento espresso, violando in caso contrario quanto disposto dall’art. 2, comma 1, l. n. 241/1990 che, in base al principio del buon andamento dell’azione amministrativa e al principio di buona amministrazione, il quale non ammette “una facoltà soprassessoria capace di tramutarsi in un rinvio sine die delle determinazioni sulla fattispecie concreta”. Tale dovere, in linea di principio, sussiste tutte le volte in cui l’amministrazione contravvenga ad un preciso obbligo di provvedere, derivante da una norma di legge, di regolamento o di un atto amministrativo, ovvero dai principi che informano l’azione amministrativa, quando in particolari fattispecie ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento. Con l‘azione avverso il silenzio adempimento, il ricorrente mira ad ottenere un provvedimento esplicito, che elimini lo stato di inerzia e assicuri una decisione, non potendo a tal fine ritenersi satisfattivi atti endoprocedimentali meramente preparatori.
Ma cosa accade nei casi in cui, come nella fattispecie in esame, non sussista un espresso obbligo di provvedere previsto dalla legge?
In base all’orientamento prevalente in giurisprudenza (Tar Lazio n. 12473/2017; Id., n. 10340/2017; Cons. Stato, sez. V, n. 4235/2016; Id., 2318/2007; Id., n. 7975/2004), il principio generale di doverosità dell’azione amministrativa, integrato con le regole di ragionevolezza e buona fede, amplia il raggio delle situazioni in cui vi è obbligo di provvedere, oltre quelle espressamente riconosciute dalla legge. In tale prospettiva, infatti, tale obbligo si configurerebbe anche nelle ipotesi in cui l’atteggiamento omissivo delle pubbliche amministrazioni, interferendo con posizioni dei soggetti privati, reca di per sé una lesione giuridicamente apprezzabile, radicando un interesse concreto ed attuale all’instaurazione di un giudizio cognitivo.
Pertanto, in virtù di quanto illustrato, il Tar Puglia ha affermato che l’obbligo di provvedere sussiste anche in assenza di un’espressa previsione legislativa che tipizzi l’istanza del privato. In particolare, nel caso di specie, una istanza diretta ad ottenere un provvedimento favorevole, determina un obbligo di provvedere quando chi la presenta sia titolare di un interesse legittimo pretensivo, pur in assenza di una norma specifica che attribuisca al privato un autonomo diritto di iniziativa. Di fronte a una istanza formale, l’amministrazione è tenuta a concludere il procedimento anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata. Il legislatore, infatti, ha imposto alla P.A. di rispondere in ogni caso (salvo i casi limite di palese pretestuosità) alle istanze dei privati nel rispetto dei principi di correttezza, buon andamento, trasparenza, consentendo alle parti di difendersi in giudizio in caso di provvedimenti lesivi delle loro posizioni giuridiche soggettive.