Con la pronuncia n. 6028 del 2 settembre 2019, la Terza sezione del Consiglio di Stato ha affermato che nonostante l’accesso civico generalizzato non implichi astrattamente l’obbligo della parte di indicare i documenti di cui chiede l’ostensione, al fine di ottenere dal giudice amministrativo un ordine di esibizione o una ispezione è onere dell’interessato, ricorrente ex art. 116 c.p.a., indicare i documenti di cui chiede l’ostensione, non essendo rinvenibili, nel codice o nel d.lgs. n. 33 del 2013, disposizioni che consentano al giudice di ordinare l’ispezione di uffici e locali di una pubblica amministrazione al solo fine di cercare documenti di cui si sospetta l’esistenza. Ciò in quanto il processo amministrativo è retto dal principio dispositivo, sia pure “temperato” dal metodo acquisitivo, in ossequio al quale sul ricorrente grava comunque un onere probatorio che, relativamente alla acquisizione di documenti, deve tradursi quantomeno nella deduzione della effettiva esistenza dei documenti di cui si chiede l’acquisizione in giudizio, che devono anche essere specificamente indicati. Questo principio si estende all’accesso civico generalizzato, con la conseguenza che chi agisce in giudizio avverso il diniego opposto alla relativa istanza deve dimostrare l’esistenza degli atti richiesti.
I giudici amministrativi, inoltre, hanno ritenuto legittimo il diniego all’accesso alla documentazione relativa allo stato di attuazione del Memorandum d’Intesa Italia – Libia sottoscritto in data 2 febbraio 2017, opposto dall’amministrazione sul rilievo che la diffusione e pubblicazione degli atti di cooperazione espletata in esecuzione di impegni internazionali, pertinenti ad attività dell’amministrazione della pubblica sicurezza, è suscettibile di ingenerare concretamente situazioni pregiudizievoli in grado di vanificare le misure preventive poste in essere a tutela dell’insieme delle azioni portate avanti. In particolare, il rigetto risulta fondato sull’opportunità di assicurare, sia nel momento del confronto con le Autorità libiche, finalizzato a concertare le attività ed a monitorare il loro svolgimento, sia nelle fasi direttamente operative, la riservatezza necessaria ad assicurarne l’efficacia. Inoltre, a giudizio del Collegio, le ragioni del diniego sono difficilmente confutabili se si tiene conto del difficile contesto territoriale ed istituzionale in cui l’azione di contrasto dell’immigrazione clandestina è destinata ad operare.