1919: la riforma dell’amministrazione secondo Luigi Einaudi

Il 1919, con l’avvento del primo ministero Nitti (che si sarebbe protratto dal 23 giugno di quell’anno all’11 maggio 1920), fu un anno, sebbene drammatico per le condizioni generali del Paese appena uscito dalla guerra mondiale, tuttavia di grandi speranze per le riforme. Una di esse, a lungo attesa, fu quella dell’amministrazione. Nitti, d’accordo con il ministro del Tesoro Carlo Schanzer, predispose in quei mesi un ambizioso programma per lo studio e poi l’attuazione della riforma, il fulcro del quale fu condensato nella relazione della Commissione centrale per la riforma dei servizi pubblici da lui nominata e presieduta appunto da Schanzer. Il 22 settembre 1919 la relazione Schanzer fu resa pubblica. Prevedeva di istituire una serie di commissioni decentrate a livello ministeriale col compito di attuare rapidamente le necessarie semplificazioni dei servizi. In particolare suggeriva il decentramento burocratico, un’ampia semplificazione normativa, l’abolizione di una delle due contabilità separate che gravavano sull’amministrazione, la revisione dello stato giuridico degli impiegati,  il riesame e razionalizzazione delle funzioni consultive, il miglioramento tecnico dei metodi di lavoro. Il documento, pregevole per ampiezza e per lo spirito di innovazione che lo animava, incontrò sulle prime molto favore, sia tra gli esperti che nella pubblica opinione; di questo atteggiamento favorevole è espressione l’articolo di Luigi Einaudi pubblicato come editoriale dal “Corriere della sera” proprio il giorno successivo alla presentazione della riforma. Einaudi era stato spesso molto critico verso le idee di Nitti, opponendo il suo credo liberista a quello che era il disegno di riforma generale dello Stato nittiano. Tanto più significativa dunque appariva adesso la sua adesione al progetto, sebbene integrata dalle righe che seguono.

La riforma poi, come tante altre, non si fece, o si fece solo in parte: allontanato Nitti dal governo nell’estate 1920, il suo successore Giolitti preferì ripiegare su posizioni meno radicali.

 

Io credo che su questa via si possa procedere ancora più innanzi. Il tipo della pubblica amministrazione dovrebbe essere questo: alla testa di ogni grande gruppo di servizi un direttore o direttore generale, il quale riparte i servizi tra i segretari o referendari o consiglieri, tutti uguali di nome, e, se diversi di attitudine, incaricati di servizi più o meno importanti. Ognuno dei segretari dovrebbe personalmente sbrigare tutte le pratiche del suo ufficio, sotto la sua responsabilità, senza revisione altrui, solo casi gravissimi riservati al direttore, senza firme controfirme e minute. Ogni segretario sia munito di telefono, stenografo, dattilografa, macchine da copiare, di tutto l’apparato necessario a rendere minima la fatica dello scrivere, del redigere. Adunanze collegiali tra i segretari per prendere accordi intorno alle materie comuni. Al direttore stipendio minimo di lire 25.000, ai segretari stipendi progressivi da 8.000 a 25.000 lire. Stenografi, dattilografi e personale dipendente scelti dai segretari tra persone di loro fiducia, avventizi, licenziabili se oziosi o di scarso rendimento. Gli esami da segretari difficilissimi, paragonabili a quelli dei referendari al Consiglio di Stato. Concorso aperto a tutti, con speciale riguardo ai funzionari provinciali, ai quali dovrebbe essere consentito lo stipendio maggiore di 8.000 lire di cui fossero provveduti.

Luigi Einaudi, Tentativi e contrasti per la semplificazione dei servizi pubblici, in “Corriere della sera”, 23 settembre 1919.